Quanto è importante la fede in D*o e si può essere un “buon ebreo” senza credere in D*o? Sono interrogativi che aprono le porte a molteplici spunti di riflessione. Certo, se da una parte la legge ebraica è sempre stata “D*o-centrica”, ci sono pensatori soprattutto moderni, ma anche antichi, che hanno concettualizzato l’ebraismo in modo da renderlo meno “D*o-centrico”.
La battuta comune secondo cui “non c’erano atei nell’antichità” è più o meno vera. L’esistenza di D*o (o degli dei) è stata data per scontata nel mondo antico e medievale. Perfino i filosofi medievali – ebrei, cristiani e musulmani – che cercavano di provare l’esistenza di D*o si preoccupavano più di dimostrare la razionalità della religione che l’esistenza di una divinità.
L’ateismo e l’agnosticismo
sono emersi come opzioni reali solo nell’era moderna, come conseguenze della secolarizzazione, della separazione tra chiesa e Stato e, soprattutto, della dipendenza dalla scienza per le spiegazioni dei fenomeni naturali.
Tuttavia, raggruppare tutte le forme di giudaismo pre-moderno non rende giustizia alla questione. Si potrebbe sostenere che la credenza in D*o fosse meno centrale per gli ebrei dell’era rabbinica (nei pochi secoli successivi alla distruzione del Tempio nel 70 e.v.) di quanto non lo fosse per gli ebrei nel Medioevo, ma non perché D*o fosse meno importante. Sebbene gli ebrei tendessero a credere in alcuni concetti condivisi, ad esempio un solo D*o che li condusse fuori dall’Egitto, l’eventuale redenzione messianica, le credenze ufficiali o i dogmi, non furono formulati fino al Medioevo.
Il giudaismo rabbinico
esigeva un’azione – l’adempimento dei comandamenti – non l’affermazione di credenze specifiche. Forse l’esempio più eclatante di questa posizione è un commento al versetto di Geremia (in cui si afferma: “Mi hanno abbandonato e non hanno tenuto la mia Torah“) a cui il “Pesikta D’Rav Kahana”, un midrash del V-VII secolo, precisava: “Se solo mi avessero abbandonato e mantenuto la mia Torà”.
L’ebraismo rabbinico, così come quello biblico, ha un proprio concetto di “credenza”, il quale però non vuole affermare che D*o esiste. Lo studioso Menachem Kellner, per esempio, sottolinea che la parola biblica emunah (אמונה), “credenza” o “fede” connota fiducia o credenza, ma senza voler implicare l’esistenza di D*o. Naturalmente, si potrebbe sostenere che la fiducia in qualcosa implica che quel qualcosa esiste, ma è la distinzione tra “credere in” e “credere” che aiuta a comprendere le priorità e gli accenti della visione rabbinica del mondo.
I principi di fede di Maimonide
Questo approccio alla credenza cambiò nel Medioevo, quando i filosofi ebrei iniziarono a proporre dottrine ufficiali dell’ebraismo. I Tredici principi di fede di Maimonide sono la più famosa lista di queste “credenze”; includono diversi dogmi su D*o, compresa naturalmente l’affermazione che D*o esiste.
I principi articolati da Maimonide non erano poi così rivoluzionari. Rivoluzionaria fu, invece, l’affermazione di Maimonide secondo cui la credenza in questi principi era essenziale per la propria identità ebraica.
Tradizionalmente, l’identità ebraica è sempre stata definita a livello biologico. Secondo l’ebraismo rabbinico, se la madre era ebrea, allora quella persona era ebrea, indipendentemente dalle proprie azioni o credenze.
Riferendosi ai suoi tredici principi, tuttavia, Maimonide scrisse: “Quando tutti questi fondamenti sono perfettamente compresi e creduti da una persona, entra nella comunità di Israele e si è obbligati ad amarlo e a compatirlo in tutti i modi come il Creatore ha comandato e come se si dovesse agire nei confronti di un proprio fratello“. Per Maimonide, uno non era ebreo – almeno non del tutto ebreo – se non credeva in D*o e negli altri principi di fede da lui delineati.
Molti pensatori moderni, in particolare teologi liberali, hanno cercato di rivendicare l’atteggiamento rabbinico nei confronti della credenza, sottolineando che il dogma religioso è un anatema per l’ebraismo e che la creazione medievale del dogma era, in un certo senso, una corruzione del giudaismo. Sebbene la maggior parte di questi pensatori, tra cui Leo Baeck e Solomon Schechter, non abbiano rigettato questo dogma per mettere in discussione l’esistenza e la rilevanza di D*o, altri lo hanno fatto.
Un ebreo deve credere in D*o
In via ufficiale, la maggior parte degli ebrei si sente a disagio all’idea di un giudaismo senza D*o. Ciò vale sia per i movimenti liberali che per gli ebrei più tradizionali. Nel 1994, l’UAHC (il Synagogue Council of the Reform movement) respinse una domanda di adesione da una sinagoga che praticava “l’ebraismo con una prospettiva umanistica”, perché i principi della sinagoga si discostavano da “lo storico orientamento di Dio del giudaismo riformista”.
Quindi, un ebreo deve credere in Dio? In un certo senso, dipende da come si definiscono quattro parole: “deve”, “ebreo”, “credere” e, naturalmente, “Dio”. La risposta è probabilmente sì; ma anche probabilmente, no.
nell’ebraismo non esistono i dogmi e questo differenzia grandemente l’ebraismo dal cristianesimo
Infatti!