L’alfabeto ebraico
Shalom carissimi amici e lettori di Vivi Israele. Per la rubrica “Impariamo l’ebraico”, voglio iniziare a illustrarvi il significato delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico. Le interpretazioni sono tantissime. Ognuno ha la propria: io ho la mia, ad esempio. Anche perché ogni simbolo va incontro a una interpretazione soggettiva e non ritengo che ci sia una interpretazione univoca. Le lettere dell’alfabeto ebraico sono, a mio avviso opere d’arte, oltre che simbolo molto potente sia nella grafia che nel suono.
Io mi rifarò – tra le tante interpretazioni – a quella di Paolo De Benedetti: autore del libro “L’alfabeto ebraico” (Morcelliana). Non escludo, prossimamente, di aggiungere l’interpretazione di altri autori. Cominciamo con la prima lettera dell’alfabeto, la alef (א). Secondo alcuni commentatori tradizionali, nelle sua forma quadrata, la lettera sarebbe scomponibile in due yod (le virgolette in alto e in basso) e una vav, la barra diagonale. Per la ghematriah il valore numerico di ciascuna yod (י) è pari 10 e la vav (ו) a 6. Risultato: 26 ovvero il nome divino יהוה numericamente parlando.
La alef
è stata sempre associata – con riferimento agli alfabeti greco e latino – alla lettera A, anche se in realtà non si tratta di una vocale, ma di un “gancio” muto a cui si attaccano le vocali: a, e, i, o, u. In passato possiamo dire che la Alef aveva un suono gutturale. Oggi invece non viene più pronunciata ed ha il valore di un “glottal stop”, una piccolissima interruzione. Per capirci è un po’ come hamza (ء) in arabo, pronunciata nel caso dell’arabo come come un colpo di tosse, quando è finale.
Tornando alla Alef, per capirci meglio è quel colpetto di glottide che segna lo stacco nella pronuncia tra due parole. Ad esempio: nel pronunciare “non ancora”. Insomma, la alef può essere considerata la lettera più silenziosa. All’epoca dell’esilio, in aramaico, la lingua utilizzata nella letteratura rabbinica, questa lettera veniva utilizzata per dare un tono enfatico alle parole, col paradosso che lo stato enfatico veniva dato con l’utilizzo di una lettera muta.
La alef è anche l’iniziale di אנוכי (anokhì) l’equivalente di אני (anì) che significa io, pronome di prima persona singolare e visto che D*o, quando dà la Torah (Anokhì), possiamo dire – secondo quanto affermato da Di Benedetti che la alef introduce alle orecchie e alla lettura di Israele l’Io divino. Quindi ha il duplice valore, come lettera, di silenzio iniziale di D*o e successivamente del suo parlare.
C’è, quindi, un’altra particolarità
La alef è la lettera iniziale di Adam (Uomo) e Avraham (Abramo). E così come il termine Adam è connesso ad adamah (terra), così da homo deriva humus. Sia in ebraico che in latino le parole iniziano con una lettera che non si pronuncia: la alef e la h. Una disputa riguarda il motivo per cui D*o crea il mondo partendo dalla seconda lettera dell’alfabeto ebraico, la bet (ב). Bereshit (in principio) è, infatti, la prima parola ed è anche il primo libro della Torah. La risposta è che D*o crea il mondo partendo dalla seconda lettera, ma quando crea la Torah, stabilendo per così dire l’alleanza, inizia con anokhì (io).
amo tanto Paolo De Benedetti!!! ho visto il suo nome in questo articolo. amo questi articoli. lo ritroverò? adesso non ho la forza per leggerlo -e trascrivere alcuni termini-… anì Roberta
Non posso fermarmi alla alef ed alla lettera successiva appena accennata. Spiegami come si va avanti con le altre lettere. Se si potesse anche sentire la pronuncia, oltre alla canzone su Gerusalemme, non sarebbe male, anche se come dici la alef non ha un suono proprio.
Un saluto
Leonardo Ruvolo